Diritto del Lavoro
«Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale;
è il coraggio di continuare che conta» Winston Churchill

Consulenza, assistenza e difesa per:
- Procedimenti disciplinari
- Responsabilità disciplinare
- Licenziamenti, trasferimenti, demansionamenti
- Recupero dei crediti di lavoro, anche nella procedure fallimentari, vertenze in materia di mobbing
- Assistenza in materia previdenziale (ricorsi gerarchici all’INPS e ricorsi per accertamento negativo ai sensi dell’art. 442 c.p.c.)
- Assistenza alle imprese nelle operazioni straordinarie (attività di Due Diligence)
- Assistenza nei rapporti dirigenziali
- Trasferimenti, licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, oggettivo e per giusta causa
- Recupero dei crediti di lavoro
Grazie alla pluriennale esperienza maturata nel diritto del lavoro, lo studio assiste privati e imprese in tutte le fasi del rapporto di lavoro, dalla predisposizione del contratto alla fase dello scioglimento del rapporto di lavoro.
In particolare, lo studio offre la propria consulenza nelle fasi patologiche del rapporto di lavoro, quali, a titolo esemplificativo, le ipotesi di responsabilità del lavoratore per illecito disciplinare, le vertenze relative a demansionamenti, mobbing – anche eventualmente in sede penale – e conseguenti azioni di risarcimento danno, dimissioni o licenziamenti, invalidità del patto di prova, garantendo una piena tutela dell’assistito in ogni sfera giuridica ed individuando la strategia migliore per soddisfare le esigenze del cliente sia in ambito stragiudiziale sia nell’eventuale fase giudiziale.
Inoltre, avvalendosi della propria rete di professionisti, anche esterni, quali consulenti del lavoro e commercialisti specializzati nel diritto del lavoro, lo studio offre la propria consulenza per il recupero dei crediti derivanti dal rapporto di lavoro, quali retribuzioni, T.F.R., differenze retributive, risarcimenti del danno, individuando caso per caso gli strumenti più efficaci ed efficienti per il rapido soddisfacimento dei diritti del cliente.
Nella vita di ciascuno può accadere di ritrovarsi ad affrontare delle situazioni con possibili risvolti in ambito penale, impreviste e talvolta molto preoccupanti.
Responsabilità disciplinare
La legge concede al datore di lavoro, in occasione di un rapporto di lavoro subordinato, l’esercizio del potere disciplinare, consistente nella facoltà di applicare sanzioni al lavoratore in caso di sua inosservanza del dovere di diligenza, obbedienza e dell’obbligo di fedeltà.
Il procedimento si avvia ai sensi dell’art. 7 della L. 300/1970, attraverso la consegna al lavoratore della lettera di contestazione disciplinare, nella quale è indicata l’infrazione che il lavoratore avrebbe commesso e una richiesta di fornire le relative giustificazioni.
Il termine per riscontrare la lettera di contestazione, a carico del dipendente, è generalmente di 5 giorni dalla consegna, salvo che il C.C.N.L. di riferimento non preveda un termine maggiore. In questa ipotesi, il lavoratore ha in genere due possibilità: può redigere per iscritto la risposta alla lettera di contestazione, riportante le sue giustificazioni, e consegnarla al datore di lavoro, oppure può chiedere di essere ascoltato oralmente in una riunione apposita, insieme ad un rappresentante sindacale o ad un avvocato di fiducia.
Una volta espletato il contradittorio tra il datore di lavoro e il dipendente, qualora il datore ritenga fondate le giustificazioni addotte dal lavoratore, il procedimento disciplinare può concludersi con l’archiviazione, e pertanto senza l’irrogazione di una sanzione disciplinare. Altrimenti, il procedimento può terminare con la comminazione di una sanzione disciplinare, allorché l’imprenditore ritenga che vi siano profili di responsabilità a carico del dipendente. In questo secondo caso, salvo diverse e apposite previsioni da parte del C.C.N.L. di riferimento, la sanzione irrogata può essere il rimprovero verbale, il richiamo scritto, la multa, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o, per infrazioni più gravi, il licenziamento per giusta causa.
Trasferimenti, licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, oggettivo e per giusta causa
Ai sensi dell’art. 2103 c.c., il datore di lavoro può trasferire definitivamente il dipendente senza limiti di durata da una sede di lavoro ad un’altra della propria azienda. Tuttavia, il trasferimento è legittimo solo in presenza di “ragioni tecniche, organizzative o produttive”, che devono eventualmente essere provate e dimostrate dal datore di lavoro. In altri termini, un lavoratore può essere trasferito solo a condizione che l’azienda possa dimostrare che tale decisione risponda e possa in prospettiva soddisfare delle proprie esigenze interne, quali, ad esempio, l’intervenuta inutilità della presenza del lavoratore presso la sede di assunzione, o la necessità di utilizzare la sua particolare professionalità in un altro stabilimento.
Il lavoratore ha comunque diritto di impugnare il trasferimento che reputi illegittimo, ossia privo di ragioni giustificative, entro il termine di 60 giorni, a pena di decadenza, dalla ricezione della comunicazione di trasferimento e, nel successivo termine di 180 giorni, dovrà depositare il ricorso in Tribunale.
Sempre tra le facoltà del datore di lavoro rientra anche la comminazione del licenziamento al proprio dipendente, e quindi il recesso datoriale dal rapporto di lavoro. Esistono tre tipi di licenziamento, due aventi carattere disciplinare, dal momento che derivano da infrazioni disciplinari imputate al lavoratore, e uno invece relativo alle scelte economiche e imprenditoriali del datore di lavoro.
Per quanto riguarda i licenziamenti disciplinari, la legge annovera anzitutto il licenziamento per giusta causa, derivante da un comportamento del lavoratore che costituisce grave violazione ai propri obblighi contrattuali, tale da ledere in modo insanabile il necessario rapporto di fiducia tra le parti e da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro (c.c. 2119).
La giusta causa, pertanto, deve essere di gravità tale da comportare la rottura immediata del rapporto di lavoro senza l’erogazione dell’indennità di preavviso. I contratti collettivi elencano normalmente le ipotesi ed i fatti ritenuti tali da costituire giusta causa di licenziamento.
Di minore gravità è invece il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, rappresentato da comportamenti disciplinarmente rilevanti del dipendente ma non tali da comportare il licenziamento per giusta causa, ossia senza preavviso.
Infine, l’ultima ipotesi di licenziamento è quella per giustificato motivo oggettivo, derivante da ragioni inerenti all’organizzazione del lavoro dell’impresa. Si tratta, in particolare, di situazioni in cui la crisi dell’impresa, la cessazione dell’attività e, anche solo, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore – senza che sia possibile il suo “ripescaggio” (c.d. repechage), ovvero la ricollocazione del dipendente in altre mansioni compatibili con il livello di inquadramento – rendano necessaria la cessazione del rapporto di lavoro.
Il licenziamento, come la comunicazione di trasferimento, possono essere impugnati dal dipendente entro 60 giorni dalla sua ricezione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa necessariamente in forma scritta, dei motivi, qualora non contestuale. Peraltro, tale impugnazione è inefficace se non è seguita entro il successivo termine di 180 giorni dal deposito in Tribunale del ricorso.
Recupero dei crediti di lavoro
Al fine di garantire la tutela dei crediti maturati dal lavoratore, la legge consente la possibilità di utilizzare uno strumento rapido ed efficace, ossia il ricorso per decreto ingiuntivo, per ottenere un immediato provvedimento del Tribunale, inaudita altera parte, che consenta il recupero coatto dei crediti di lavoro.
Si può trattare in particolare di retribuzioni, indennità non corrisposte, di ratei del trattamento di fine rapporto, e in generale di quegli emolumenti indicati in busta paga che il datore di lavoro ha omesso di corrispondere e versare al lavoratore entro le scadenze previste dal CCNL e dalle disposizioni di legge.
Peraltro, il ricorso per decreto ingiuntivo è anche utilizzabile nella diversa ipotesi in cui il datore abbia omesso di consegnare le buste paga al dipendente, dalle quali siano eventualmente evincibili dei crediti lavorativi mai corrisposti.
Per quanto riguarda, invece, il recupero dei crediti che non siano rinvenibili in tale documentazione scritta, quali ad esempio eventuali differenze retributive, derivanti dallo svolgimento da mansioni superiori a quelle formalmente ricoperte dal dipendente, o per attività di straordinario o lavoro notturno non conteggiate in busta paga, occorrerà proporre un ricorso ordinario di lavoro al Tribunale competente. Si tratta, a ben vedere, di un procedimento rapido e incentrato sul principio dell’oralità, volto a consentire una pronta definizione della vertenza.
Lo studio si occupa altesì di recuperare quando non correttamente corrisposto dal datore di lavoro nell’ambito delle procedure fallimentari con assistenza nella proposizione delle domande al Fondo di Garanzia INPS.
Vertenze in materia di mobbing e di demansionamento
Il mobbing è una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico protratta nel tempo e tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
Tale condotta si distingue dal demansionamento, ossia l’assegnazione al lavoratore di mansioni inferiori rispetto alla sua qualifica di appartenenza, o anche la mancata assegnazione di alcuna mansione, che comunque pone il lavoratore in una condizione di forte stress emotivo e che arreca danni sia morali che professionali.
Tale condotta, peraltro, può costituire un’ipotesi di straining, che consiste in una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui il lavoratore subisce (almeno) un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nella sua vita all’interno dell’ambiente lavorativo, e che presenta ripercussioni durature (come, appunto, l’essere adibiti per diversi mesi a mansioni inferiori).
Lo straining, seppur rappresenti apparentemente una forma attenuta del mobbing, in quanto si concretizza tendenzialmente in un’unica azione e non in più condotte sistematiche e ripetute nel tempo, costituisce comunque un illecito, in quanto lede interessi del lavoratore “al più elevato livello dell’ordinamento” (così, da ultimo, Cass., sent. n. 29101 del 2023).
Invero, tanto il legislatore – e in particolare l’art. 2087 c.c. – quanto la giurisprudenza, riconoscono che l’imprenditore sia “tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, assegnando dunque precisi obblighi al datore di lavoro e fissando dei precisi risarcimenti qualora il lavoratore denunci una situazione di straining e di mobbing.
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